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Testi inediti di Arnold de Vos
proposti da V.Ravagli con immagini di Olga Oreshnikova
da carte sensibili

Da “TARABUCCHE E ZUMMARE” di Arnold de Vos

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A maggior decoro del cielo

Se cade un albero
non è un sacrificio alla terra
si è sacrificata per farlo crescere
e mantenere l’aria respirabile
ed offrire un dormitorio agli uccelli
che cercano un poggiapiedi quando si fa buio
e incrociano le ali.
Se cade un albero
oramai finisce nella macelleria del verde
per risorgere in un mobiletto di casa
invece di rientrare nell’anima del bosco
e ripassare la sua forza alla terra.
Movimentava la frangia dell’orizzonte dell’occhio,
del nostro occhio con le sue falangi cieche
e le lunule delle foglie
che hanno inargentato le nostre notti
e ovattato i riposini all’ombra.
Abbiamo abbracciato in un momento di abbandono
la sua incidenza sulla nostra scorza
sagrinata dal millefoglie delle lacrime.
Se cade un albero, lascia stare un fiore
in sua memoria, invece di martirizzarlo in un vaso
a maggior decoro del cielo
e fare tutti la fine della croce.

Ai propilei del cuore

Per i migranti di ogni razza e specie dispersi

Se un animale mette le mani in avanti
vuol dire che ha bisogno di te.
Ti legge negli occhi che hai voglia di fuggire
per paura dell’affetto strano:
l’alfabeto non scritto delle emozioni senza richiamo,
esperanto universale dei senza speranza
che però ci provano, ai propilei del cuore
a entrare nell’adito riservato al tuo dio privato,
al quale fai risalire i dettami del comportamento.
Sulla soglia la specie scricchiola
davanti al consesso dei numi senza nome
rigettati in nome di un dio vano.


Tres convenientes

da un graffito registrato a Ostia Antica, Regio I,IV,2
(CIL 14.5291,3d)

Mi sarebbe bastato l’affetto
per il corpo che la bionda terra copre.
Ma ha voluto di più,
e m’ha lasciato succube del lutto.
Oggi ch’è il solstizio d’inverno,
posso sperare in un ritorno ?
l’albero dell’affetto mette le gemme in fondo al mio corpo,
ma ormai andiamo per radici divise:
attecchisco nella sua sagoma sbiadita
mentre lui fa corpo con la terra.


.

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A una indifesa come te .

In quante si saranno imbarcate
nel matrimonio lasciandoti sulla riva,
Saffo, che le avevi seguite con pudore e amore
e tatto finché non passassero al fianco di un uomo
a un’esperienza diversa, ad un’altra età ?
Non rattrista il ricordo, non consola
il ritorno delle giovani mamme.
E tu a rivangare dentro di te
l’imeneo cantato in coro durante il passaggio
della sposa in casa dello sposo, imeneo composto da te.
Quanto vento nella leggerezza della voce
a mascherare la tempesta. E ora questa fiacca,
questa spossatezza sulle labbra
dell’abbraccio, prima che tu te ne vai lasciando alle spalle
un senso di sottrazione più forte di te.
Ma come ti permettevi l’avventatezza
di dare voce davanti allo sposo al tuo tormento per lei ?
che strano imeneo, diremmo oggi.
Alla guerra come alla guerra, volevano dire
i tuoi accenni alla guerra di Troia
e alla scarsa combattività della dea
scesa dall’Olimpo per proteggere suo figlio Enea
da Diomede, che la ferì.
Non potevi che augurare felicità alla sposa
sul limitare della porta socchiusa su una indifesa come te.

.

L’intimità clonata

Becchi i granelli dei ricordi
come fosse ancora possibile colmare il desiderio erotico.
Le cose belle insieme godute
da ora ti appariranno nella loro nudità
non più gioiosa, viole morte
appassite in un’aiuola piena di acidi.
L’intimità colora e la distanza scolorisce.
Vano ogni tentativo
di ricupero delle ore passate insieme.
Una tenerezza gelida sorgerà dalla terra,
l’intimità clonata. Statuaria cimiteriale.

Della parola scrittrice

Non credo di avere il tuo senso
per il corpo della donna.
Travestito da Saffo, giro l’isola
tiaso di me stesso, cosciente dei miei due lati
che in te erano uno: cavità di risucchio
solidificazione dell’anima, la vagina
quando apre le sue ali. Buco il cielo delle mie attese
nella ricerca della donna
dove meno la trovo: nella donna ragazzo
nel ragazzo donna, nel ragazzo e il suo contrario
scolpiti dal desiderio
della contrazione, della contrattazione
dei ruoli: corpo-anima, σύμβολον della dualità
della parola scrittrice.



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La repressione delle streghe

La repressione delle streghe
non ci ha liberato delle streghe, non c’erano.
E col non trovarle hanno mandato al rogo tanta gente.
La fede non ci guadagna
se si sopprimano gli atei: dopotutto sono una soluzione
per far ragionare i credenti.
I pogrom non ci liberano degli altri:
troveranno sempre chi è della loro parte
se non altro per le atrocità commesse.
Non vi sono omosessuali e eterosessuali,
ma atti eterosessuali e atti omosessuali:
i primi superano di gran lunga i secondi,
la minoranza è sempre malvista.
Ma non infamiamo l’uso con l’abuso,
e i buoni sentimenti con la violenza.

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Settembre

(Luigi Ontani, Stagione [1974])

In piedi sulle noci,
un grappolo sul ventre
e un fascio di spighe di grano in mano,
a testa alta
si staglia sul cielo
con una coroncina di fiori a stella nei capelli
un giovane dalle carni nude,
genio del mese in cui sono nato.

.

.In danza

Credevi in dèi che ti hanno aiutato a vivere
l’amore per le ragazze. Avevano con te
un legame regolato dal tiaso
che consentiva l’amore fisico
con un’intensità che mai avrebbero provata
nella loro vita da sposata per un uomo.
Si viveva assistite dalle Càriti
dispensatrici di grazia e bellezza,
nelle prime turbolenze della giovinezza
l’arsura dei corpi uno per l’altro
avvolti dai pepli nelle gare di bellezza.
seguite dalla dea stessa d’intesa con le Muse
e con te, Saffo, che completavi il loro numero:
decima musa eterea nonostante il volgere degli anni,
i capelli grigi da viola che erano e
con la gamba che ti dava dei problemi,
ardente sempre senza sapere come
staccare dagli sguardi delle alunne
il cuore giovane pendolo tra amore e tormento.

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